I nonni raccontano. Favole al computer con i disegni dei bambini. (parte 2°).

Presentiamo, come promesso, la seconda parte del libro “digitale” nato grazie ai nonni, ai bimbi, ai nipotini e alle maestre che dal mese di marzo 2020 hanno partecipato all’iniziativa Ai bimbi una fiaba, ai nonni un disegno promossa dal sito www.libereta.it.

Anche in questa seconda presentazione pubblichiamo il primo racconto. La serie completa di di racconti di questa seconda parte del libro la potete trovare a questo indirizzo.

Il contadino del Po

di Fabio Meloncelli
disegno di Alberto

C’era una volta un povero contadino di nome Francesco che abitava vicino la sponda sinistra del fiume Po. La terra che coltivava era molto sabbiosa ed era stata portata lì dal lavorio incessante del fiume. Poco grano, poco mais, poco di tutto. Anche le generose zucche crescevano male. Spesso il fiume era fonte di guai quando, in piena, usciva dagli argini inondando le terre basse nelle stagioni in cui non serviva oppure quando, invece, era in secca nei periodi in cui doveva alimentare i tanti canali per l’irrigazione. Ma questo lui lo sapeva. Sapeva anche quanto il fiume potesse essere generoso grazie alla pesca, e quanto legname per l’inverno poteva depositare sulle rive.

Disegno di ALBERTO

Era novembre inoltrato ma sembrava già pieno inverno, di quelli freddi. Con il ghiaccio e la nebbia, la galaverna* sembrava invincibile. L’acqua del fiume era color terra, correva veloce, troppo veloce per pescare. Non c’erano tronchi sulle rive, la forte corrente li spingeva verso il mare, là dove ogni giorno sorgeva un freddo, piccolo sole. Francesco doveva provvedere a Maria, sua moglie, e a Robertino e Teresa, i suoi figli. La moglie l’aiutava nei campi quando non doveva accudire o vegliare i due bimbi piccoli, troppo spesso ammalati. La casa dove abitavano era piccola e piena di umidità, non avevano né stalla né fienile né pollaio. Maria non poteva allevare polli, conigli e nemmeno le anatre perché c’erano tanti ladri quant’era la fame, troppa. Un cane da guardia ogni tanto doveva pur mangiare, e per loro non era possibile sfamarlo.

Comunque Francesco non perdeva mai la speranza e spesso usciva con il bilancino con cui pescava per provvedere al pranzo e alla cena. Ora, con il fiume in queste condizioni e il ghiaccio sulle sponde, se fosse caduto per lui sarebbe stata la fine. Ma bisognava uscire comunque per procurare cibo. Nel primo pomeriggio di quel freddo giorno, convinse sua moglie Maria che valeva la pena di rischiare per andare a pesca e le assicurò che anche quella sera avrebbero mangiato. Ma in cuor suo non era tanto sicuro. La nebbia scendeva sempre più fitta, la galaverna vestiva tutto con delle decorazioni naturali fatte di ghiaccio, in verità molte belle a vedersi. «Maledetta fame, maledetti i poveri e maledetto me», disse sottovoce Francesco. Poi camminò a lungo verso… non sapeva neanche lui dove. Alla fine si trovò davanti un piccolo canale ghiacciato che entrava (o usciva?) da un piccolo stagno, anch’esso ghiacciato.

Nelle vicinanze della sponda erano accatastati tanti sassi arrotondati, di varie grandezze. Certamente servivano per qualche lavoro dell’uomo, forse per battere la canapa. D’istinto cercò di prendere un sasso ma sembrava incollato agli altri. Era opera del ghiaccio e fece un grande sforzo per staccarlo. Lo lanciò in un punto dello stagno nella speranza che lì il ghiaccio fosse meno spesso. Ripeté il gesto fin quando il ghiaccio non cedette aprendo un buco grande a sufficienza per immergervi la rete del bilancino. Fissò il bastone robusto che reggeva rete e archi e controllò che la corda corresse bene nella carrucola. Si sedette e cominciò a pescare. Il freddo non gli dava pace, notò che vicino a lui c’era un mucchio di foglie e anche qualche rametto secco, portati lì dal vento.

Si coprì con quelli le gambe, i piedi e anche la corda che reggeva i suoi pantaloni – chi mai aveva avuto una cinghia? Ogni tanto estraeva la rete dall’acqua gelida, nessun pesce voleva uscire dal fondo dello stagno. Dopo alcuni tentativi, il sonno s’impadronì di lui, quasi a proteggerlo dalla fame e dal freddo. Cominciò a sognare che da un punto della terra vicino alla quale era sdraiato, uscisse una luce: si alzò incredulo e, sempre nel sogno, s’avvicinò alla fonte luminosa. Quel chia rore usciva da una botola chiusa malamente e da lì si intravedeva una grotta sottostante. Spostando la botola di legno, piena di erba e di muschio, s’accorse che si trattava di un covo di ladri. Si vedeva nettamente il bottino dei loro furti: dentro c’erano salami, prosciutti, formaggi, vino, olio, ogni ben di Dio. Poi notò qualche ferro da scasso, un archibugio e alcune corde aggrovigliate per terra in un angolo della grotta. Si sveglio bruscamente perché qualcosa di freddo gli pungeva la gola. Cercò inutilmente di alzarsi ma si accorse che qualcuno lo bloccava a terra. Era uno dei ladri della grotta che con una mano gli puntava il coltello e con il corpo lo teneva bloccato. Dalla grotta ora non usciva nessuna luce, ma, pensò Francesco, se uno dei malfattori era lì davanti a lui, armato, allora il suo non era stato un sogno.

Non riusciva a capire e non capiva neanche le domande che gli venivano rivolte. Il dolore alla gola gli era insopportabile. Si concentrò sulle domande: «Cosa fai qui? Chi sei? Da quanto tempo sei qui? Cosa hai visto?» Francesco spiegò con calma che per fame stava cercando di pescare e che per farlo aveva dovuto bucare il ghiaccio con i sassi. Ma si era addormentato ed era stato svegliato da loro. Sì, proprio loro, i ladri che pensava di aver incontrato nel sogno: era un gruppetto e uno, il più grosso, comandava. Non aveva visto nulla, assicurò Francesco, a parte tanta nebbia e freddo.

Con un gesto, il capo ordinò al complice di abbassare il coltello e poi esclamò: «Sei un povero Cristo, più povero di noi. Bendatelo e legatelo!» Francesco non poté dire più nulla, uno straccio ruvido gli coprì bocca e occhi, mentre con una corda lo legavano. Poi silenzio e poi ancora qualcuno che gli si avvicinava, un rumore ovattato, infine ancora silenzio. Sentiva il cuore in gola, anche il freddo sembrava finito ma non era il momento per lasciarsi vincere dalla disperazione. Attese ancora, e quando intorno a sé rimase solo il silenzio, si accorse che i nodi della corda non erano stretti. Se ne liberò in poco tempo e poi si tolse lo straccio dal volto. Cercò di mettere a fuoco le cose e le idee, si tolse le foglie di dosso, si alzò, estrasse il bilancino, smontò archi e rete fissandoli con la corda al bastone. In fondo, rifletté, anche senza cena era ancora vivo, così s’incamminò verso casa, ma inciampò e quasi cadde sopra tre grossi salami.

Vicino a loro c’era una pancetta, una mortadella, un piccolo sacco di mais e un bottiglione d’olio. Non capiva, ma era tanto contento e, soprattutto, quello che vedeva non era un sogno! Cercò la corda che prima lo legava, con essa fissò quel ben di Dio al bastone del bilancino. Quando il peso fu ben bilanciato riprese con difficoltà la strada verso casa. Ancora non credeva a quello che gli era accaduto, ma palpando la mortadella si ricredette. La grotta, la luce, il sogno, i ladri solidali e altruisti… gli sembrava tutto incredibile. Pensava ai figli, Teresa e Robertino, sempre malati e mai del tutto sfamati, a quello che Maria faceva per loro. A costo di cadere affrettò il passo sempre più deciso. Dopo un po’ sentì odore di fumo, poi vide una tenue luce che usciva da una finestra piena di buchi e fessure. Cominciò a chiamare i suoi cari.

Dalla porta diroccata uscì Maria con in braccio Robertino, vicino a lei c’era Teresa. Quando lo riconobbero gli corsero incontro, preoccupati sia dalla tarda ora in cui tornava sia dalle urla e dalle frasi incomprensibili che Francesco non riusciva a trattenere. Il resto è facile da capire, comunque passarono il migliore inverno della loro vita senza sprecare nulla di quello che avevano avuto in dono. Poi accadde un’altra cosa. Un lontano parente, che gli fece visita, chiese a Francesco se fosse disposto a prendere una mezzadria in un terreno situato vicino Bologna. Con tutta la sua famiglia Francesco partì quasi subito: ben poche furono le cose che si portarono dietro.

Ma non erano più in quattro perché Maria aspettava un altro figlio. Dopo alcuni giorni di cammino a piedi, raggiunsero il terreno che gli era stato affidato. Oltre a una bella casa, c’erano il fienile con la stalla, il pollaio e il porcile e tanti filari di olmi che reggevano vigne secolari. Sarebbe stata dura fatica lavorare dall’alba al tramonto ma ne valeva la pena. Il cibo non sarebbe mancato, i figli sarebbero cresciuti e avrebbero contribuito nei lavori. La vita, nelle favole senza re e principi, è questa ma insegna che nei momenti peggiori può uscire una luce da sotto terra, ed essa come una stella non ti lascia mai. E non si saprà mai se sarà un sogno o la realtà o la realtà un sogno. C’era una volta…