“Mi hanno detto cagna e lesbica schifosa”. Picchiata a 13 anni per la borsa arcobaleno.

LODOVICO POLETTO pubblicato il 11 Giugno 2021 su LA STAMPA

Torino, un gruppo di ragazzine spacca il naso a una coetanea delle medie. Era vestita con i simboli della lotta all’omofobia.

Ci sono ferite che fanno più male di una gomitata in faccia che ti spacca il naso. «Mi hanno chiamata cagna. Mi hanno detto che dovevo bruciare viva, io e le mie amiche. Ci hanno urlato che siamo delle lesbiche schifose e un sacco di altre cose». Ecco è questo ciò che più l’ha ferita. Le botte sono arrivate dopo, fortissime. Sul viso. E adesso fanno un male da morire. Lasceranno segni. Ma non quanto ciò che le è accaduto all’uscita di scuola.

Erano le 13,30 del penultimo giorno prima delle vacanze. Ieri, cioè. Eva stava uscendo dalla media Rosselli con due amiche. Borsa con i colori della bandiera arcobaleno. Calzini in tinta. E al collo un «choker», cioè cinturino rosa, in pelle, con un cuore e le borchie. Le ragazze che erano ferme davanti alla scuola le hanno aggredite. Un po’ per la storia della borsa che racconta le scelte di tolleranza e accoglienza, di lotta all’omofobia e contro qualunque tipo di discriminazione, un po’ anche per il «choker». E un po’ perché da qualche tempo «lì davanti accade di tutto».

Quelle due o tre che provocavano, Eva e la sua amica del cuore le hanno lasciate dire. Poi hanno reagito, a parole: «Stai zitta, nana». E se ne sono andate. Le hanno inseguite. Strada dopo strada, cantone dopo cantone, insulti, le solite frasi di prima. «Ecco, lì ho avuto paura», racconta Eva. «C’era la mia amica che diceva di starsene lontane, e quelle che volevano prendere me». Ce l’hanno fatta, ad un certo punto. Prima le botte, poi un colpo con lo zaino, infine un pugno – oppure una gomitata piena faccia – che le ha fratturato il naso: «lesbiche, cagne…». L’amica è stata presa a schiaffi. Poi si sono girate e se ne sono andate.

Per inquadrare questa storia, bisogna tornare alla media Rosselli, scuola a due o tre isolati dal campus del facoltà umanistiche. Non è la periferia della città, è al confine di una delle zone più frequentate dagli studenti. Ma da qualche tempo davanti a quell’istituto capitano fatti che hanno allarmato anche i professori.

Eva li racconta mentre con la mamma sta seduta nel pronto soccorso. «All’uscita ci sono spesso dei ragazzi di altre scuole, che hanno amici che frequentano la Rosselli. Sono aggressivi. Qualche giorno fa facevano commenti omofobi, forse anche razzisti» racconta. A scuola se n’era parlato. Era diventato un caso. Eva, cresciuta con una mamma che le ha insegnato a dire no a tutto questo, ne aveva parlato con le amiche. Qualche giorno dopo quei ragazzi erano tornati. Avevano bruciato in strada volantini e bandiere arcobaleno. Facevano i bulli. Se la prendevano con tutti. Eva e le sue amiche hanno reagito come sanno fare i ragazzini. Hanno preso le borse a strisce colorate e se le sono messe sulle spalle: «Volevamo far vedere che per noi, invece, tutte le persone sono uguali. Che l’omofobia e il razzismo vanno condannati e non fomentati». È finita che Eva adesso ha il naso rotto. E oggi sua mamma andrà dai carabinieri a denunciare l’aggressione. «Perché – dice mamma Tiziana – questo non è soltanto bullismo. È qualcosa di più, e di più grave. È l’omofobia che serpeggia tra i ragazzi. Chi non la pensa così è da massacrare di botte».

Alle otto di sera la vice preside del Rosselli, Anna Tulliach si trincera dietro un ostinato: «Non dico nulla. Non c’è nulla da raccontare. Non parlo con nessuno». Ma riguarda la scuola ciò che è accaduto, non crede? «Guardi, quello che avevo da dire l’ho già raccontato ai carabinieri». Quando? «A suo tempo». Che sta a significare come la presenza di quei ragazzi violenti che bruciavano in strada le bandiere era un fatto arci noto e che i vertici della scuola avevano notato e per questa ragione già informato i carabinieri. In che modo, con una denuncia, con una chiacchierata? La vice preside della media, Tulliach non lo dice.