Non si muore di venerdì

Un racconto breve di Cesare Guarnone.

     Era un giorno molto freddo. D’altronde era venerdì. Morire di venerdì ė inopportuno. La gente ha sempre un sacco da fare di venerdì e non ha tempo per la compassione. Di sabato o di domenica è tutta un’altra cosa. In ogni caso quando sei morto, sei morto, direte voi. Beh, dovreste vedere le facce degli accoliti costretti a vegliare il caro estinto dì venerdì e non di sabato o di domenica. Prima di tutto di sabato o di domenica non fa freddo. È un fatto, non fa freddo. In secondo luogo, voi, nei panni del morto, vorreste avere intorno tutti quei musi lunghi che fingono contrizione ma che si vede benissimo che fremono per tornare ai loro affari? Io di sicuro no. Uno di quei tristi figuri, appollaiati come corvi intorno al catafalco, si avvicinò e mi sussurrò all’orecchio:
    “Morire di venerdì… Che vergogna.”
    Gli risposi: “Vedrà che Lassù, che non hanno niente da fare il venerdì, non ci faranno neanche caso…”
    “Non dica sciocchezze!” – Disse un vecchio vicino con il naso adunco che aveva sentito tutto.
    “Lo sanno tutti che morire di venerdì è vera blasfemia e Lassù, caro lei, ne terranno conto, oh sì che ne terranno conto!” 

    Una bambina, la cui luce di purezza e innocenza appariva imprigionata nel castigo di un abitino corvino come quello degli adulti, chiese:
    “Mammina, che cosa è blaf… …femia?” 
    “Una cosa da grandi. Fai silenzio”, rispose la madre. Quindi, come se la madre avesse parlato al muro, la piccola continuò:
     “Da grande voglio fare la blaf… …femia.” 
    “Zitta, se no il nonno si sveglia…”
    “Mammina, il nonno è morto!”
    “Sei stato tu?” – La madre lanciò uno sguardo di fuoco al marito.
    “Dico, sei stato tu a dirglielo?”
    “No, è stata quella stronza di tua sorella.”

       La camera ardente era stata allestita nel salotto buono, quello che non veniva mai usato se non in circostanze eccezionali come la visita di qualcuno di importante, in occasione dei pranzi delle feste e anche per ospitare le veglie funebri. Quella che si svolgeva ora non era la prima e non sarebbe stata l’ultima.
    Un tizio seduto su un divano Luigi Filippo taroccato, foderato di broccato sintetico, si alzò e venne verso di me.
    “Mi scusi…”  – si accinse a dire.
    “Dica.”
    “Lei è forse parente del defunto?”
    “No, lo conoscevo appena.”
    “Allora che ci fa qui?”
    “Fuori faceva freddo, sa, è venerdì…”
    “Capisco… Allora le posso parlare liberamente.”
    “Dica.”
    “ Vede, a causa di questo freddo pungente… Lei conviene che è pungente, vero?”
    “In effetti punge… Ma venga al dunque.”
    “Sì, certo. A causa di questo freddo pungente, dicevo, ho notato che leggere volute di vapore fuoriescono dall’orifizio orale…”
    “Dalla bocca, vuol dire..” – Il tizio. cominciava a darmi sui nervi.
    “Beh, io non volevo usare quel termine, sa, ci sono dei bambini…”
    “Ma lo sanno tutti che quando fa freddo il fiato si condensa in vapore e…ma cos’ha che non va la parola ‘bocca’?”
    “Non è questo il punto” – disse il tizio guardandosi intorno con fare sospettoso.
    “A no?” 
    “No.”
    “…”
    “Osservi bene ad una spanna dall’orif… dalla bocca del defunto. Cosa vede?”
    “Beh, nulla che… Ho mio Dio!”
    “Appunto.”
    “Il morto non è morto… ! E se non è morto vuol dire una cosa sola.”
    “Vuol dire che è vivo!”
    “Mi ha tolto la parola dall’orifizio orale.”
    “Dalla bocca.”
    “Sì, dalla bocca.”
    “Io lo farei presente.”
    “A che pro?”
    “Beh, se non è morto oggi, potrebbe morire domani che è sabato…”
    “O anche dopodomani…”
    “Che è domenica.”
    “Immancabilmente.”
    “Così sarebbero tutti più contenti.”
    “Non farebbe freddo e non si dovrebbe fingere contrizione.”
    “Beh, se c’è da farlo presente” – disse il tizio – “allora mi sbrigherei… Chiuderanno la cassa a momenti.”
    “Ha regione. Andiamo  a dirlo.”
    “No, vada solo lei.”
    “Lei non viene?”
    “È meglio che vada solo lei, visto che, sa… lei non è parente.”

     Facendo una rapida valutazione sulla priorità delle cose da fare, decisi di intervenire per impedire un tragico errore piuttosto che indagare sulle recondite ragioni che rendevano l’imparentato tizio col non più moribondo, così restio a farsi avanti. Fu allora che dissi ad alta voce:
    “Fermi, fate largo! Non fate oggi quel che potreste fare domani che è sabato! Il nonno non è morto poiché è vivo!”.
    La giaculatoria di cinque pie donne s’interruppe all’istante per lasciar posto alla frase:
    ”Chi è l’idiota che ha parlato?” pronunciata a denti stretti da una cugina acquisita di terzo grado del presunto compianto.
    La bambina di prima disse:
    “Mammina, cosa vuol dire ‘i…dota’?”
    “Idiota, si dice, non idota” – la corresse la Mamma.
    “Allora da grande voglio fare la idota!”
    Qualcuno da dietro, che non ne poteva più delle cantilene petulanti della piccola, disse:
    “Dài, che sei già sulla buona strada!”
    Non credendo alle proprie orecchie, la mamma si girò e prima ancora di dire: “Ma come si permette” mollò un manrovescio con mano guantata ma dotata di pesante anello con zircone accuminato sul volto di chi aveva osato offendere la sua piccola. Il sangue sprizzò copioso dalla guancia del malcapitato andando ad imbrattare cose e persone a diversi metri di distanza. La cosa spaventò a morte la bambina che si mise a piangere forte, mentre il malcapitato, sotto shock, si tamponava la ferita con la prima cosa che aveva trovato a portata  di mano, un paramento funebre, per inciso. Le cinque pie donne gridarono allo scandalo facendosi il segno della croce più volte prima di fuggire via inorridite. Un parente più attento urlò:
    “Cosa ho sentito? Il morto sarebbe vivo?”
    Non feci in tempo a confermare il fatto che fui travolto dalla furia di un energumeno, parente stretto del tipo con la guancia sanguinante. Senza badare a chi o a cosa gli si parasse davanti si lanciò con rabbia irrefrenabile alla volta della donna anello di zircone munita, per fargliela pagare. La gente si fece da parte per quanto poté ma i più caddero e vennero calpestati malamente dall’enorme parente stretto che nella foga non riuscì a fermarsi in tempo e rovinò insieme a madre e bambina sul catafalco, rovesciandolo.
    Silenzio. Gelo e silenzio.
    Una flebile voce si levò da sotto il feretro capovolto:
    “Dove sono? Chi sono? E, soprattutto perché sono?”
    Allora un’unica frase in coro si levò dai presenti dimentichi, all’improvviso, delle loro diatribe:
    “Ma nonno, allora sei vivo!”
    “Son vivo? Certo, o forse non so… non mi sento tanto bene…”
     Poi di ché stramazzò a terra, questa volta definitivamente. Parenti, amici, madri, bambine, ed estranei infreddoliti si guardarono storditi. Poi, un unico pensiero fece breccia nelle menti ancora sconvolte e qualcuno, forse un cugino di quarto grado, chiese: 
     “Che ore sono?”
     “Mezzanotte e dieci… “ – rispose un altro – “Allegri, oggi è sabato!”.


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