Venne notte

Le ombre dei sassi e degli alberi si erano allungate all’improvviso a formare un fitto reticolo disuniforme. Alzai gli occhi e una luna furbastra strisciava sui picchi. Udii il richiamo di una civetta e poi un gufo. A terra impronte di scarponi da montagna procedevano nella mia stessa direzione. Stavo girando in tondo. Fosse estate non mi sarei preoccupato, ma era solo aprile e neppure un giorno dei più caldi. Dovevo accontentarmi della giacca a vento che trasportavo nello zaino in caso di pioggia. Sentii strisciare tra l’erba, di nuovo la civetta, subito dopo il gufo e poi ancora strisciare. I rumori incalzavano in cerchio. Scrutai i tronchi per orizzontarmi. Funghi avevano trovato un riparo tra le crepe della corteccia e i muschi. Tolta la giacca, nello zaino restava solo un borsino con alcuni minerali e un coltellino svizzero. Accendere un fuoco era fuori discussione, anzi era vietato. Mi lasciai andare a terra, sfilai gli scarponi, feci correre i palmi lungo i polpacci e la stanchezza sembrò scivolare giù, fino alle caviglie. Impugnai il coltellino e abbracciai le ginocchia. Senza cibo, acqua e nessun riparo venne notte.


Un racconto di Paolo Tacconi