Covid-19 e fragilità delle persone anziane.

dott. Bruno BERTAGNA

Il virus arrivò all’improvviso, inaspettato, non come quelle malattie che i medici si preparano ad affrontare per tutta la vita e che talora non incontrano mai, difensori di una Fortezza in attesa del nemico come nel romanzo di Buzzati “Il deserto dei Tartari”. Il virus arrivò come un moderno invasore, sulle frequenze radiofoniche e televisive. Venerdì 21 febbraio dalle prime ore del mattino tutte le principali emittenti riportavano la notizia dei primi casi diagnosticati in Lombardia il giorno precedente.

E la vita degli italiani cambiò, prima con passo lento, poi sempre più rapidamente, al ritmo delle notizie sul diffondersi dell’epidemia, dei commenti degli esperti, delle ordinanze, dei decreti. Cambiò la vita dei giovani e degli anziani, degli uomini e delle donne, dei lavoratori e dei pensionati, dei poveri e degli abbienti, delle persone in buona salute e degli infermi, come solo il principe De Curtis “Totò” avrebbe potuto immaginare nello scrivere la sua poesia più celebre “A livella”.

Al montare della marea del contagio gli italiani si mostrarono disorientati, incerti, inizialmente non particolarmente impauriti, spesso increduli. I primi giorni decorsero in modo apparentemente normale, fatto salvo l’aumento delle code negli esercizi commerciali, gli studi medici regolarmente affollati, poi vennero i giorni dell’isolamento sociale, della chiusura degli esercizi commerciali, degli uffici pubblici, dei luoghi di lavoro, dei divieti e della grande paura.

Le persone anziane sono risultate le più vulnerabili al coronavirus. Secondo recenti dati ISTAT le persone con più di 65 anni sono 13,9 milioni, pari al 23% della popolazione italiana; quelle con più di 75 anni circa 7 milioni, di cui il 60% donne, le persone con 85anni e più sono 2,2 milioni e circa 15.000 i centenari; numeri che fanno dell’Italia il paese più vecchio d’Europa insieme alla Francia e secondo nel mondo dopo il Giappone.

Il criterio anagrafico non è però un indicatore sufficiente a identificare la popolazione anziana che appare essere eterogenea per numerosi fattori sia personali, che sociali, che economici.

L’invecchiamento a seconda del punto di vista considerato (biologico, psicologico, sociale) assume significati diversi. Classicamente si distingue un livello biologico, che determina l’età biologica, un livello psicologico che individua l’età psicologica e un livello sociale, a sua volta condizionante l’età sociale, riferita alla posizione raggiunta dalla persona nella comunità.

Sulla base, principalmente, del livello biologico si individuano numerosi fenotipi. Accanto ad anziani in buona forma fisica, cosiddetti robusti, e ad anziani attivi, esistono gli anziani fragili e ampie fasce di persone anziane affette da plurime patologie croniche, da disabilità, da condizioni di non autosufficienza.

L’esperienza e gli studi confermano che l’invecchiamento può anche decorrere in condizioni di salute discrete, se non buone, e che non sarebbe l’invecchiamento di per sé ma piuttosto le malattie e le condizioni di vita, rappresentate in particolar modo dal welfare, dallo status economico, dalle relazioni sociali e dallo stile di vita ad influenzare il declino fisico e psichico.

L’invecchiamento è quindi un processo molto complesso nel quale entrano in gioco numerosi fattori: biologici, psicologici, culturali, economici, sociali, ambientali.

La pandemia da Covid-19 ha determinato la più alta letalità fra le persone anziane.

La stragrande maggioranza dei deceduti è risultata avere più di 70 anni. Per motivi ancora da chiarire ma verosimilmente legata ai fattori di rischio e, forse, al diverso assetto ormonale, la letalità è risultata più elevata nei soggetti di sesso maschile in tutte le fasce di età (57,8% uomini contro il 42,2% donne). I dati ISTAT riferiscono di un eccesso di mortalità rispetto a periodi di confronto di circa 2,3 volte negli uomini di 70-79 anni e di 2,2 volte in quelli di età compresa fra 80 e 89 anni. In pratica è risultata molto coinvolta la fascia di età dei giovani anziani (65-75 anni), quella degli anziani veri (75-85 anni), massimamente coinvolta, e, in misura solo lievemente minore, quella dei longevi (85-95 anni). L’età media dei deceduti è risultata 80 anni.

La malattia non ha colpito in modo indiscriminato; sono state soprattutto le persone affette da gravi patologie croniche concomitanti (malattie cardiovascolari, diabete, patologie neurodegenerative, oncologiche ecc.) ad aver pagato il maggior prezzo in termini di mortalità. Il 61% delle persone decedute risultava avere almeno 3 patologie croniche preesistenti. Una particolare incidenza di eventi fatali si è verificata fra le persone ospitate nelle Residenze Socio-Assistenziali e Socio-Sanitarie che, secondo dati parziali, accolgono in Italia oltre 300.000 anziani. È ragionevole pensare che il virus abbia colpito i presidi residenziali in ragione della vita comunitaria che vi si svolge, a causa delle difficoltà di isolamento, andando ad incidere su organismi già provati da situazioni di fragilità e di multi-patologia, dove i danni provocati dal virus si sono sovrapposti a quelli causati dalle malattie coesistenti.

La pandemia ha slatentizzato e aggravato le paure tipiche dell’anziano: l’incognita del futuro, la perdita dell’autonomia, l’abbandono, la solitudine; la paura economica, la paura della malattia e della morte.

Di fronte alla paura le persone anziane hanno reagito, prevalentemente, adottando strategie per contenerla, mobilitando le risorse utili a ristabilire, nella situazione che si era creata, un sufficiente equilibrio interiore e, nello stesso tempo, fronteggiare le difficoltà pratiche della vita quotidiana. Si sono registrati in questo periodo dei comportamenti improntati ad una grande prudenza e una adesione massiccia e convinta degli anziani alle indicazioni di protezione e di isolamento sociale stabilite dalle autorità.

Le persone anziane hanno manifestato delle reazioni emotive molto più contenute rispetto a quelle espresse dai giovani e dagli adulti.

Le reazioni d’ansia, espresse da sintomi psicologici quali irritabilità, insofferenza e agitazione o sintomi fisici, sono state negli anziani inferiori rispetto alle fasce di popolazione più giovanile. La motivazione potrebbe risiedere nel riserbo tipico dell’anziano a manifestare i propri sentimenti o anche nella maggiore capacità dell’anziano nel controllarli. È infatti noto che nell’età anziana le emozioni sono spesso meglio modulate e meno espresse rispetto alle età precedenti. L’impressione che se ne ricava è quella di un buon equilibrio interiore della popolazione anziana in generale e di una reazione contenuta e appropriata delle persone anziane nei confronti delle conseguenze della pandemia e dell’isolamento.

Il confinamento nella propria casa, ricca di significati affettivi ed emotivi, per un anziano è meno traumatico rispetto al cambiamento di domicilio o al trasferimento in una struttura protetta. Nella propria casa l’anziano conserva il senso dell’autonomia e la competenza ambientale che conferisce la sensazione di sicurezza.

Le strategie di isolamento adottate dagli anziani comportano quasi sempre la mobilitazione delle risorse famigliari per le incombenze quotidiane, talora usufruendo in alternativa o in aggiunta dell’aiuto del vicinato o dei volontari per il rifornimento alimentare e dei farmaci.

Nell’adottare e mantenere questa modalità comportamentale è possibile che molti anziani siano facilitati da un alto livello di coscienziosità e riflessività, dalla tendenza fisiologica dell’anziano a concentrarsi su sé stesso ed evitare situazioni di rischio, dalla tendenza di alcuni anziani ad isolarsi dal contesto in cui vivono. Tendenza quest’ultima che non va assecondata in condizioni normali, per gli effetti negativi sulle facoltà cognitive e il tono dell’umore, ma che nella situazione particolare della pandemia è efficace per evitare un maggior numero di contagi.

L’aver evitato un danno maggiore, tuttavia, significa per gli anziani dover affrontare altri possibili danni, legati alla riduzione della mobilità, ad una alimentazione non sempre congrua, alla riduzione dei contatti sociali, con i famigliari, con il medico, alla posticipazione di accertamenti clinici ed esami programmati.

Il forzato isolamento provoca tutta una serie di conseguenze negative per l’anziano: dalla riduzione del movimento, deleterio per una serie di patologie croniche, dalle malattie cardio-vascolari e metaboliche quali il diabete, alle patologie artro-degenerative, al favorire l’insorgenza di disturbi d’ansia e depressivi fino al peggioramento delle funzioni cognitive.

L’isolamento fisico, qualora si trasformi anche in isolamento sociale, risulta essere particolarmente gravoso soprattutto per gli anziani che vivono da soli (quasi la metà delle donne ultra 75enni secondo le statistiche vive sola), per quelli che non hanno figli (circa il 9%), per i soggetti più fragili, per i disabili e gli ammalati cronici non autosufficienti, talora privati del rapporto con l’abituale assistente personale, spesso unica figura di riferimento per il sostegno fisico e psicologico di contrasto verso i sentimenti di solitudine, l’ansia e la depressione.

La pandemia da coronavirus ha reso ancora più evidente il divario tra le classi più giovani e gli anziani, questi ultimi penalizzati dalla minore disponibilità di risorse economiche e strumenti tecnologici di comunicazione.

È indubbio che gli anziani necessitino della massima attenzione da parte della società e delle istituzioni. In situazioni di isolamento domiciliare è essenziale che l’anziano mantenga il miglior livello di funzionalità con una adesione convinta e consapevole ad un corretto stile di vita.

Le buone norme, quali il mantenere una alimentazione variata e sana, una buona idratazione, l’esecuzione di semplici esercizi fisici, assumono un’importanza anche maggiore in situazioni di confinamento.

È opportuno che l’anziano si mantenga in esercizio coltivando interessi, esercitando attività che diano soddisfazione e stimolino la mente, possibilmente con progetti, letture, ricerche, studi. Ogni attività che richieda concentrazione, curiosità, interesse, interazione aiuta a mantenere integre le funzioni cognitive e conservare il tono dell’umore.

Qualora consentito dalle condizioni fisiche e ambientali, è utile effettuare passeggiate all’aperto rispettando la distanza interpersonale.

In alcuni casi gli anziani dovranno riparare i danni psicologici riportati, ma l’impressione complessiva è quella di una maggior tenuta rispetto ad altre fasce di età che ora, oltre alla paura del contagio, evidenziano quella per il danno economico e la perdita del lavoro.

Gli anziani possiedono il patrimonio dell’esperienza fattuale ed emotiva, rappresentano la memoria di una popolazione, i principali attori del dialogo intergenerazionale.

Il ritorno ad una condizione precedente l’infezione è impensabile per ciascuno di noi, ancora più problematica sarà la sutura tra il tempo precedente e quello successivo per le persone anziane più fragili a causa delle conseguenze fisiche, psichiche, relazionali ed economiche connesse a questo evento.

Tutti i professionisti della salute (medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali) che dovranno intervenire per portare assistenza e aiuto nei confronti degli anziani più deboli, dovranno valutarne con attenzione il rischio e il grado di fragilità, la condizione di vulnerabilità funzionale, cognitiva, sociale ed economica che espongono l’anziano ad un alto rischio di perdita di competenza e di funzioni che può esitare nella disabilità, nella perdita dell’autonomia e dell’autosufficienza.

Occorrerà soprattutto “pensare” che la persona anziana possa essere un soggetto fragile e sospettare la presenza di cause di fragilità soprattutto quando non vengono denunciate.

Sarà importante coinvolgere ancora di più nel processo di cura i famigliari e il caregiver per aiutare l’anziano a recuperare e mantenere le migliori condizioni di salute e la massima autonomia possibile, recuperare la vita di relazione e rafforzare il senso di una vita che ha un valore di per sé, oltre che per quello che ha fatto e quello che ancora può fare.

L’emergenza attuale si combatte e si sconfigge con gli strumenti della scienza, ma anche con il senso di comunità, la solidarietà, la tolleranza, il senso positivo della vita, la capacità di resistere con forza ma anche con ironia e, se possibile, buon umore.

Da questa traumatica esperienza abbiamo la possibilità di trarre alcuni importanti insegnamenti.

Dovremo considerare la vita dal punto di vista clinico ma non solo: la vita è anche rappresentata dall’insieme degli affetti e delle relazioni sociali.

La pandemia da Covid-19 ci ha aiutato a riscoprire i valori della solidarietà, degli affetti famigliari, dell’amicizia, della vita salubre, a riflettere sui temi della società e dell’ambiente in cui viviamo e sulla necessità di averne rispetto e cura.

Ci ha fatto riflettere sul senso profondo della vita personale, così indissolubilmente legata a quella degli altri, sul bisogno di dare delle risposte alle categorie sociali più deboli, riservare un’attenzione specifica alle persone più vulnerabili, quali le persone sole, gli anziani, i disabili, le persone ospitate nelle strutture residenziali e ricoverate negli ospedali alle quali devono essere assicurate la massima protezione, cure attente e appropriate.

Una signora anziana (F.R. di anni 86) congedandosi con un sorriso dallo studio di chi scrive ha espresso questo pensiero:

Tanti paragonano questa cosa alla guerra, perché non hanno visto la guerra… Ora dovremo ricominciare, ma allora, dopo la guerra, avevamo iniziato più dal basso. Malgrado tutto non ho perso la speranza in un mondo più buono”.

Quale miglior auspicio per il futuro?


dott.Bruno BERTAGNA

Medico Chirurgo Specialista in Geriatria. Consigliere Nazionale della Società Scientifica SISMED e referente per la Regione Piemonte. Relatore a congressi nazionali, autore e coautore di pubblicazioni in ambito di geriatria e medicina interna. Svolge attività di ricerca e di studio nel campo dell’invecchiamento, con particolare riguardo ai temi della complessità, della disabilità e della fragilità degli anziani.


a nome dell’Associazione “Più vita in Salute”.