Il Papa torna da Baghdad: “In questi mesi mi sentivo imprigionato, andare in Iraq è stato come rivivere”.

DOMENICO AGASSO PUBBLICATO IL 08 Marzo 2021 SU LA STAMPA

Francesco nell’intervista sull’aereo descrive la commozione per la mamma che ha perso il figlio e perdonato gli assassini dell’Isis. Il dialogo con l’islam? «Non è un capriccio».

INVIATO SUL VOLO PAPALE. «In questi mesi mi sentivo imprigionato, andare in Iraq è stato come rivivere». Il dialogo con l’islam? «Non è un capriccio». Lo afferma papa Francesco nell’intervista sul volo che da Baghdad lo riporta a Roma, dopo il viaggio di quattro giorni in Iraq. Il Pontefice sostiene che «dobbiamo lottare per la dignità delle donne, sono coloro che portano avanti la storia», e questo «non è un’esagerazione, non è un complimento perché oggi è il giorno delle donne». Una festa «degli uomini»? Non c’è perché «noi siamo sempre in festa». Il Vescovo di Roma descrive la commozione per la mamma che ha perso il figlio e perdonato gli assassini dell’Isis. Condivide i suoi stati d’animo dopo l’incontro con l’ayatollah Al Sistani: «Uomo saggio e uomo di Dio». Racconta l’inquietudine di fronte alle chiese distrutte di Mosul: essere sul posto è stato «toccante, da non credere, la crudeltà umana». Svela di avere promesso al patriarca Bechara Rai di fare un viaggio in Libano. Annuncia che andrà in Ungheria.

Jorge Mario Bergoglio ringrazia i giornalisti «per il vostro lavoro, per la vostra compagnia, e la vostra stanchezza».

Santità, due anni fa ad Abu Dhabi c’è stato l’incontro con l’Imam Al Tayyeb di Al Azhar e la firma sulla Dichiarazione sulla fratellanza. Tre giorni fa lei si è incontrato con Al Sistani: si può pensare a qualcosa di simile anche con il versante sciita dell’Islam? E poi una seconda domanda sul Libano: san Giovanni Paolo II diceva che più che un Paese è un messaggio. Oggi purtroppo da libanese le dico che questo messaggio ormai sta scomparendo. È imminente una sua visita in Libano?
«Il documento di Abu Dhabi del 4 febbraio è stato preparato con il grande Imam in segreto, durante sei mesi, pregando, riflettendo e correggendo il testo. È stato – e dirlo un po’ presuntuoso, prendetela come una presunzione – un primo passo di ciò che lei mi domanda. Possiamo dire che questo sarebbe il secondo e ce ne saranno altri. È importante il cammino della fratellanza. Il documento di Abu Dhabi ha lasciato in me l’inquietudine della fratellanza, e poi è uscita “Fratelli tutti”. Ambedue i documenti si devono studiare perché vanno nella stessa direzione, sulla via della fratellanza. L’Ayatollah Al Sistani ha una frase che cerco di ricordare bene: gli uomini sono o fratelli per religione o uguali per creazione. Nella fratellanza è l’uguaglianza, ma sotto l’uguaglianza non possiamo andare. Credo che sia una strada anche culturale. Pensiamo a noi cristiani, alla guerra dei Trent’anni, alla notte di san Bartolomeo, per fare un esempio. Come fra noi cambia la mentalità: perché la nostra fede ci fa scoprire che è questo, la rivelazione di Gesù è l’amore e la carità e ci porta a questo: ma quanti secoli per attuarli! Questo è importante, la fratellanza umana, che come uomini tutti fratelli, e dobbiamo andare avanti con le altre religioni. Il Concilio Vaticano II ha fatto un passo grosso in questo, e anche le istituzioni dopo, il Consiglio per l’unità dei cristiani e il Consiglio per il dialogo interreligioso. Il cardinale Ayuso ci accompagna oggi. Tu sei umano, sei figlio di Dio e sei mio fratello, punto! Questa sarebbe l’indicazione più grande, e tante volte si deve rischiare per fare questo passo. Lei sa che ci sono alcune critiche: che il Papa non è coraggioso, è un incosciente che sta facendo dei passi contro la dottrina cattolica, che è a un passo dall’eresia, ci sono dei rischi. Ma queste decisioni si prendono sempre in preghiera, in dialogo, chiedendo consiglio, in riflessione. Non sono un capriccio e anche sono la linea che il Concilio ha insegnato. Vengo alla seconda domanda: il Libano è un messaggio, il Libano soffre, il Libano è più di un equilibrio, ha la debolezza delle diversità, alcune ancora non riconciliate, ma ha la fortezza del grande popolo riconciliato, come la fortezza dei cedri. Il patriarca Rai mi ha chiesto per favore durante questo viaggio di fare una sosta a Beirut, ma mi è sembrato un po’ poco… Una briciola davanti a un problema, a un Paese che soffre come il Libano. Gli ho scritto una lettera, ho fatto la promessa di fare un viaggio. Ma il Libano in questo momento è in crisi, ma in crisi – non voglio offendere – in crisi di vita. Il Libano è tanto generoso nell’accoglienza dei profughi».

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In che misura l’incontro con Al Sistani è un messaggio anche verso i capi religiosi dell’Iran?
«Io credo che è stato un messaggio universale, io sentivo il dovere di questo pellegrinaggio di fede e di penitenza, di andare a trovare un grande, un saggio, un uomo di Dio. Soltanto ascoltandolo si percepisce questo… E parlando di messaggi io dirò: è un messaggio per tutti, è un messaggio per tutti! E lui è una persona che ha quella saggezza e anche la prudenza, mi diceva: “Io da 10 anni non ricevo gente che viene, sì, a visitarmi ma con altri scopi politici o culturali non tanto religiosi”. Lui è stato molto rispettoso nell’incontro, io mi sono sentito onorato perché lui anche nel saluto, mai si alza, si è alzato per salutarmi per due volte. È un uomo umile e saggio, a me ha fatto bene all’anima questo incontro. È una luce. Questi saggi sono dappertutto perché la saggezza di Dio è stata sparsa in tutto il mondo. Anche succede lo stesso con i santi che non sono solo coloro che sono negli altari, ma santi tutti i giorni, quelli che io chiamo della porta accanto. Santi uomini e donne che vivono la loro fede, qualsiasi essa sia, con coerenza, che vivono i valori umani con coerenza, la fratellanza con coerenza. Credo che dovremmo scoprire questa gente, evidenziarla. Perché ci sono tanti esempi e ci sono scandali, anche nella Chiesa, tanti…. Questo non aiuta, ma facciamo vedere alla gente che cerca la strada della fratellanza i santi della porta accanto. Troveremo gente della nostra famiglia sicuramente».

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Il suo viaggio ha avuto un’enorme ripercussione in tutto il mondo, crede che potrebbe essere “il viaggio” del pontificato? Si è anche detto che era il più rischioso. Ha avuto paura in qualche momento? Sta per compiere l’ottavo anno del suo pontificato, continua a pensare che sarà corto? Infine, la grande domanda: ritornerà una volta in Argentina?
«Comincio dall’ultima, è una domanda… la capisco. Quel libro del mio amico giornalista Nelson Castro, medico, lui ha fatto un libro sulla malattia dei presidenti e io una volta gli dissi ma se vieni a Roma, devi farne uno sulla malattia dei Papi perché sarà interessante conoscere le malattie dei Papi, almeno di alcuni degli ultimi tempi. Mi ha fatto l’intervista, è uscito il libro, mi dicono che è buono, io non l’ho visto. Lui mi ha fatto una domanda: se lei si dimette – se muoio o mi dimetto – tornerà in Argentina o rimarrà qui? Io ho detto non tornerò in Argentina, ma rimarrò qui nella mia diocesi. Ma in quella ipotesi, va unita alla domanda quando vado in Argentina o perché non ci vado… io rispondo sempre un po’ ironicamente: sono stato 76 anni in Argentina, è sufficiente no?

C’è una cosa che, non so perché, non si dice: è stato programmato un viaggio in Argentina a novembre del 2017. Si cominciava a lavorare per andare in Cile, Argentina e Uruguay. Era fine novembre… Ma poi in quel tempo il Cile era in campagna elettorale, in quei giorni a dicembre è stato eletto il successore di Michelle Bachelet, io dovevo andare prima che cambiasse il governo. Non potevo andare… Ma facciamo così: andiamo a gennaio in Cile e poi Argentina e Uruguay… Ma non era possibile, perché gennaio era come luglio-agosto per i due Paesi. Ripensando la cosa è stato ricevuto il suggerimento: perché non prendere il Perù? Perché il Perù era stato staccato dal viaggio in Ecuador, Bolivia, Paraguay. Era rimasto da parte. E da lì è nato il viaggio in gennaio (del 2018, ndr) in Cile e Perù. Ma questo io voglio dirlo perché non si facciano fantasie di “patriafobia”: quando ci sarà l’opportunità si potrà fare, perché c’è Argentina, Uruguay, sud del Brasile.

Poi sui viaggi. Io per prendere una decisione sui viaggi ascolto, ascolto il consiglio dei consiglieri. A me fa bene ascoltare, questo mi aiuta a prendere più avanti le decisioni. Ascolto i consiglieri e alla fine prego, prego, rifletto tanto, su alcuni viaggi ho riflettuto tanto. Poi la decisione viene da dentro, quasi spontanea ma come frutto maturo. È un percorso lungo, alcuni sono più difficili, altri più facili. La decisione su questo viaggio viene dapprima dalla ambasciatrice, il medico pediatra che è ambasciatrice dell’Iraq, brava, brava, ha insistito. Poi è venuta l’ambasciatrice in Italia, lei è una donna di lotta. Poi è venuto il nuovo ambasciatore in Vaticano, prima era venuto il presidente. Tutte queste cose sono rimaste dentro. Ma c’è una cosa dietro che io vorrei menzionare: una di voi mi ha regalato l’ultima edizione spagnola della ragazza, Nadia Mourad, io l’ho letta in italiano, poi l’ho consegnata a Elisabetta Piqué. È la storia dei yazidi. E Nadia Mourad racconta quella cosa terrificante, terrificante. Io vi consiglio di leggerla, in alcuni punti, poiché è biografico, potrà sembrare pesante ma per me questo è il motivo di fondo della mia decisione. Quel libro lavorava dentro. Anche quando ho ascoltato Nadia che è venuta a raccontarmi delle cose terribili… Queste cose insieme hanno fatto la decisione, pensando a tutte le problematiche, tante. Ma alla fine è venuta la decisione e l’ho presa.

Poi l’ottavo anno del pontificato. Devo fare così? (incrocia le dita, ndr). Non so se i viaggi si realizzeranno o no, solo vi confesso che in questo viaggio mi sono stancato molto di più che negli altri. Gli 84 anni non vengono soli, è una conseguenza ma vedremo, Adesso dovrò andare in Ungheria alla Messa finale del Congresso (Eucaristico internazionale, ndr), ma non sarà una visita al Paese, alla messa. Ma Budapest è due ore di macchina da Bratislava, perché non fare una visita in Slovacchia? È così che vengono le cose».

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Questo viaggio ha avuto ovviamente un significato straordinario per la gente che ha incontrato, ma sono stati eventi che hanno portato a situazioni per cui è possibile che ci sia il contagio del virus. In particolare, le persone non vaccinate che cantavano insieme. È preoccupato per la gente che è venuta a vederla e che potrebbe ammalarsi e quindi morire?
«Come ho detto precedentemente, i viaggi si cucinano nel tempo, nella mia coscienza, e questa è una delle cose che più mi faceva forza, forza. Ho pensato tanto, ho pregato tanto questo e alla fine ho preso la decisione. Liberamente ma che veniva da dentro. E io dissi che Quello che mi dà di decidere così, si occupi della gente. E così ho preso la decisione, ma dopo la preghiera e dopo la consapevolezza dei rischi. Dopo tutto».

Abbiamo visto il coraggio, il dinamismo dei cristiani iracheni, abbiamo visto anche le sfide che devono affrontare, la minaccia della violenza islamista, l’esodo e la testimonianza della fede nel loro ambiente. Queste sono le sfide dei cristiani in tutta la regione. Abbiamo parlato del Libano, ma anche la Siria, la Terra Santa. Dieci anni fa si è svolto un Sinodo per il Medio Oriente ma il suo sviluppo è stato interrotto dall’attacco alla cattedrale di Baghdad. Pensa di realizzare qualcosa per l’intero Medio Oriente, un sinodo regionale o qualsiasi altra iniziativa?
«Non sto pensando a un Sinodo; le iniziative: sì sono aperto a tante ma un Sinodo non mi è venuto. Lei ha buttato il primo seme, vediamo cosa succede. La vita dei cristiani in Iraq è una vita travagliata, ma non solo cristiani, abbiamo parlato dei yazidi, le altre religioni che non si sottomettevano al potere del Daesh. E questo, non so perché, ma ha dato una forza molto grande… ma c’è il problema della migrazione. Ieri mentre tornavamo in macchina da Qaraqosh, a Erbil, vedevo tanta gente giovane, il livello di età è basso. E la domanda che qualcuno mi ha fatto: ma qual è il loro futuro? Dove andranno? In tanti dovranno lasciare il Paese. Prima di uscire dal viaggio, l’altro giorno, venerdì, sono venuti a salutarmi dodici iracheni profughi: uno aveva una gamba di protesi perché era scappato sotto i camion e si era incidentato. La migrazione è un diritto doppio: diritto a non migrare, diritto a migrare. Questa gente non ha nessuno dei due, perché non possono non migrare e non possono migrare perché il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione è un diritto umano. Mi diceva un sociologo italiano parlando dell’inverno demografico in Italia: entro 40 anni dovremo importare stranieri perché lavorino e paghino le tasse delle nostre pensioni. I francesi sono stati più furbi perché hanno avanzato dieci anni con la legge di sostegno della famiglia, il loro livello di crescita è molto grande. Ma la migrazione, la si vive come una invasione. Ieri ho voluto ricevere, perché lui l’ha chiesto, dopo la messa il papà di Alan Kurdi. Questo bambino è un simbolo, Alan Kurdi è un simbolo, per questo ho regalato la scultura alla Fao. È un simbolo che va oltre il bambino morto nella migrazione. È il simbolo di civiltà morte, che muoiono, che non possono sopravvivere, il simbolo di umanità. Ci vogliono misure urgenti perché la gente abbia un lavoro al suo posto e non abbia bisogno di migrare, e anche misure per custodire il diritto di migrazione. È vero che ogni Paese deve studiare bene la capacità di ricevere, perché non è soltanto ricevere e lasciarli sulla spiaggia ma anche accompagnare, farli progredire e integrarli. L’integrazione del migrante è chiara. Vorrei ringraziare i Paesi generosi, i Paesi che ricevono i migranti: il Libano è stato generoso con i migranti, ma due milioni di siriani credo lì o più o meno. La Giordania… Purtroppo non passeremo sopra la Giordania, il re Abdullah è così gentile che voleva farci omaggio con gli aerei. Lo ringrazio adesso. La Giordania è stata generosissima, più di un milione e mezzo di migranti. E tanti altri Paesi, ne menziono due soltanto. Grazie a questi Paesi generosi, grazie tante».

In tre giorni in questo Paese chiave del Medio Oriente ha fatto quello che i potenti della terra discutono da trent’anni. Lei ha già spiegato qual è la genesi interessante dei suoi viaggi, come nascono le scelte dei suoi viaggi, ma adesso in questa contingenza, guardando al Medio Oriente, può mettere in conto un viaggio in Siria? Quali possono essere gli obiettivi da qui a un anno di altri luoghi in cui è richiesta la sua presenza?
«In Medio Oriente soltanto l’ipotesi e anche la promessa è il Libano. Non ho pensato a un viaggio in Siria, perché non mi è venuta l’ispirazione. Ma sono tanto vicino alla martoriata e amata Siria, come io la chiamo. Io ricordo all’inizio del pontificato quel pomeriggio di preghiera in piazza San Pietro, c’era il rosario, l’adorazione del Santissimo. Ma quanti musulmani pregavano con noi per la pace in Siria, per fermare i bombardamenti in quel momento che si diceva che sarebbe stato un bombardamento feroce. Io la porto nel cuore la Siria, ma pensare un viaggio non mi è venuto».

In questi giorni, mesi la sua attività è stata molto limitata. Ieri ha avuto il primo contatto diretto molto vicino con la gente a Qaraqosh: che cosa ha provato? Secondo lei, adesso con tutto il regime sanitario, si possono ricominciare le udienze generali con la gente, con i fedeli, come erano prima?
«Io mi sento diverso quando sono lontano dalla gente nelle udienze. Io vorrei ricominciare le udienze generali al più presto. Speriamo che ci siano le condizioni, in questo io seguo le norme delle autorità. Loro sono i responsabili e loro hanno la grazia di Dio per aiutarci in questo, ma sono i responsabili nel dare le norme. Ci piacciono o non ci piacciono, i responsabili sono loro e devono fare così. Adesso ho cominciato in piazza l’Angelus, con le distanze si può fare. C’è la proposta di piccole udienze generali, ma non ho deciso finché si svela chiaro lo sviluppo della situazione. Ma dopo questi mesi di prigione, che davvero mi sentivo un po’ imprigionato, questo è per me rivivere. Rivivere perché è toccare la Chiesa, toccare il santo popolo di Dio, toccare tutti i popoli. Ma un prete si fa prete per servire, al servizio del popolo di Dio, non per carrierismo, non per i soldi. Cosa ho incontrato in Iraq, a Qaraqosh? Io non mi immaginavo le rovine di Mosul, non mi immaginavo. Davvero… Sì, avrò visto le cose, ho letto il libro, ma questo tocca, è toccante. Quello che più ha toccato è la testimonianza di una mamma a Qaraqosh. Hanno dato una testimonianza un prete che veramente conosce la povertà, il servizio, la penitenza e una donna che nei primi bombardamenti dell’Isis ha perso il figlio. E lei ha detto una parola: perdono. Sono rimasto commosso. Una mamma: io perdono, chiedo perdono per loro. Questa parola l’abbiamo persa, sappiamo insultare alla grande, sappiamo condannare alla grande, io per primo. Ma perdonare… perdonare i nemici, questo è Vangelo puro. È questo che più mi ha colpito a Qaraqosh».

Volevo sapere che cosa ha provato dall’elicottero vedendo la città distrutta di Mosul e poi pregando nelle rovine di una chiesa. E visto che è la giornata delle donne: lei ha sostenuto le donne a Qaraqosh con parole molto belle, ma che cosa pensa del fatto che una donna musulmana innamorata non può sposarsi un cristiano senza essere scartata dalla famiglia o peggio ancora?
«Di Mosul ho detto un po’ “en passant” quello che ho sentito. Mi sono fermato davanti alla chiesa distrutta, non avevo parole. Da non credere, da non credere… Non solo la Chiesa ma anche le altre chiese, anche una moschea distrutta. Si vede che non era d’accordo con la gente questa. Da non credere la crudeltà umana nostra. In questo momento non voglio dire la parola si ricomincia, ma guardiamo l’Africa. E con la nostra esperienza di Mosul queste chiese distrutte e tutto, si crea l’inimicizia, la guerra e anche ricomincia ad agire il cosiddetto Stato islamico. Questa è una cosa brutta, molto brutta. Una domanda che mi è venuta in mente nella Chiesa era questa: ma chi vende le armi ai distruttori? Perché le armi non le fanno loro a casa, sì qualche ordigno lo faranno… Ma chi vende le armi? Chi è il responsabile? Almeno chiederei a questi che vendono le armi la sincerità di dire: noi vendiamo le armi. Non lo dicono. È brutto.

Le donne. Le donne sono più coraggiose degli uomini, ma quello è sempre stato così. Ma la donna anche oggi è umiliata, andiamo a quell’estremo: una di voi mi ha fatto vedere la lista dei prezzi delle donne. Io non potevo credere che se la donna è così, tal età costa tanto… Le donne si vendono, le donne si schiavizzano. Anche nel centro di Roma il lavoro contro la tratta è un lavoro di ogni giorno. Nel Giubileo sono stato a visitare una delle tante case dell’Opera don Benzi. Ragazze riscattate, una con l’orecchio tagliato perché non aveva portato i soldi quel giorno, l’altra portata da Bratislava nel bagaglio della macchina, schiava, rapita. Questo succede fra noi, eh! La tratta della gente. In questi Paesi, soprattutto la parte dell’Africa, c’è la mutilazione come un rito che si deve fare. Ma le donne sono schiave ancora e dobbiamo lottare, lottare, per la dignità delle donne. Sono coloro che portano avanti la storia, questa non è una esagerazione, le donne portano avanti la storia e non è un complimento oggi nel giorno delle donne. Anche la schiavitù è così, il rifiuto alla donna… Pensare che in un posto è stata fatta una discussione se il rifiuto alla moglie deve essere per scritto o soltanto orale. Neppure il diritto di avere l’atto di ripudio. Ma questo succede oggi, ma per non allontanarci pensiamo al centro di Roma, alle ragazze che sono rapite e sono sfruttate. Credo di aver detto tutto su questo».