È morto Giampiero Boniperti, presidente onorario e icona della Juve

ANTONIO BARILLÀ – pubblicato il 18 Giugno 2021 su LA STAMPA

Avrebbe compiuto 93 anni il 4 luglio. I funerali si svolgeranno in forma privata. La sua prima firma in bianconero è datata 22 maggio 1946

TORINO. Gli occhi chiari di Gampiero Boniperti si sono spenti per sempre in una notte di inizio estate, adesso sorridono dentro un album bianconero da sfogliare con un filo di soggezione: una leggenda, e non è modo di dire, il Santiago Bernabeu italiano, simbolo della Juventus e monumento del calcio oltre le barriere del tifo. Un calcio romantico, ormai appannato ricordo, dove le mani strette valevano più di una firma e i campioni non erano così distanti dalla gente, dove i presidenti erano papà e il business non contaminava le emozioni. Avrebbe compiuto 93 anni il 4 luglio, i funerali si svolgeranno nei prossimi giorni in forma privata per volere della famiglia.

Il primo contratto con la Juventus lo firmò il 22 maggio ’46, dentro il sottopassaggio del Comunale che dal prato portava agli spogliatoi. L’allenatore Felice Borel, dopo essere rimasto ben impressionato in un provino, volle vederlo ancora in un test tra le Riserve e il Fossano: finì 7-0 e lui segnò 7 gol, gli allungarono la penna appena uscito dal campo. Cominciò un’epopea fatta di dribbling e virtuosismi, soprattutto di gol: per ognuno, come premio, s’era accordato d’avere una mucca che andava a scegliere personalmente nei poderi degli Agnelli, e i fattori si lamentavano perché portava sempre via quelle gravide. Cominciò da centravanti, chiuse da centrocampista, vinse cinque scudetti e due coppe Italia, interpretò con John Charles e Omar Sivori uno dei tridenti più affascinanti di sempre, s’impose come talento internazionale (migliore in campo nel Resto del mondo dove fu convocato, unico italiano, per festeggiare i 90 anni della federazione inglese), resistette alle lusinghe di altri grandi club.

Lo corteggiò anche il Toro, su suggerimento di Valentino Mazzola, lui accettò l’invito del presidente Novo per gentilezza però nemmeno ascoltò la proposta: «Sono della Juve, non posso» disse semplicemente. Vestì così la maglia granata una sola, volta, in una partita di beneficenza nel ricordo del Grande Torino, il resto furono stracittadine feroci eppure corrette: «Se potessi le abolirei, il derby mi consuma: amo troppo la Juve e ho così rispetto per il Toro che non può essere altrimenti». Lasciò il calcio giocato nel 1961, dopo il famoso 9-1 sull’Inter scesa in campo con i ragazzini per protesta: a fine gara, senza preavviso, si sfilò gli scarpini e li consegnò al magazziniere: «Tieni, a me non servono più».

Rimase nei quadri dirigenziali e nel ‘71 diventò presidente, costruì una grandissima Juve e vinse perfino più che da calciatore, insegnò una disciplina ferrea («Presentarsi con i capelli corti e ordinati» raccomandava nelle lettere di convocazione) e puntò con forza sullo stile e sull’immagine del club. Arrivarono nove scudetti, due coppe Italia e i primi trofei internazionali della storia: Coppa dei Campioni, Uefa, Supercoppa Uefa e Coppa delle Coppe. Proverbiali, come le tribune lasciate a fine primo tempo e i procuratori lasciati fuori dalla porta, le trattative con i calciatori sugli ingaggi: per respingere le richieste d’aumento, mostrava a volte le foto di modesti avversari con cui era capitato di perdere oppure ritagli di giornale che raccontavano prestazioni opache, e così, in un colpo, faceva gli interessi societari e pungolava i suoi ragazzi.

Si dimise nel ’90, quando la Juventus tentò un nuovo corso e una rivoluzione estetica, naufragata in fretta, con Gigi Maifredi, ma dopo una breve esperienza come capodelegazione azzurro ai Mondiali 90 tornò come amministratore delegato per un triennio, vincendo ancora una coppa Uefa. Fuori dalla Juve nell’epoca di Giraudo e Moggi, riapparve come presidente onorario dopo Calciopoli. Non smise mai, però, di essere custode della juventinità e un episodio commovente lo racconta. Nel 2000, quando morì Parola, Boniperti volle annodargli al collo la cravatta della sua vecchia divisa sociale: «L’ho fatto raccontò – anche se non avevo ruoli operativi, ma lui alla Juventus aveva portato signorilità, eleganza e gloria». Anche Boniperti, anzi di più: nell’ultimo viaggio lo immaginiamo con una cravatta bianconera bellissima.