Europei, azzurri in piedi: il calcio italiano e le sue mille paure.

di Fabrizio Bocca – LA REPUBBLICA del 25 Giugno 2021

Trovare una scusa per non inginocchiarsi. Perché chissà poi cosa pensa l’Uefa, perché il gesto non deve essere strumentalizzato (da chi?), perché ogni giocatore deve rimanere libero di pensare e fare come vuole (e chi lo nega?), perché lo sport deve rimanere sport e basta. Figurati, non sporchiamolo, e via quelle luci arcobaleno dagli stadi. Giochiamo a calcio o ci preoccupiamo dei diritti dei neri e dei gay?

Se non voglio aderire al “Take a Knee“, gesto di appoggio al movimento “Black Live Matters” che pone all’attenzione mondiale il rispetto dei diritti umani e in particolare si batte contro il razzismo – e il cui simbolo è un uomo di colore soffocato e ucciso dalla brutalità di un poliziotto bianco inginocchiato sulla sua gola – di scuse posso trovarne mille. In realtà è una risposta pilatesca, e a mia volta avrò gioco facile contro chi me lo rinfaccerà: nessuno può mettere in dubbio il mio impegno contro il razzismo. E non mi inginocchio perché lo so io…

Nemmeno l’Uefa stessa, che per altro ha vietato che si accendessero le luci arcobaleno dell’Allianz Arena, tutto sommato da anni fa campagne “No to racism” nel calcio. Intanto il “Take a Knee”, ossia il gesto di mettersi in ginocchio a inizio partita, è rimasto lì sospeso, ci sono nazionali che lo fanno – soprattutto le anglosassoni – e altre che non lo fanno. E ci sono Nazionali, come l’Italia, dove cinque lo fanno (Toloi, Emerson Palmieri, Pessina, Bernardeschi e Belotti) e altri che non lo fanno. Che è anche questa una forma di compromesso, metà sono per il gesto visivo che entra nelle case di tutto il mondo, metà no.  Adesso pare che nel gruppo azzurro prevalga la logica del tutti o nessuno. O meglio più del nessuno…

Da sempre in Italia il calcio ha paura di tutto, è profondamente democristiano, timoroso di giocarsi le simpatia di chissà quali tifosi, ha mille tabù. Ma si può pensarla diversamente su un tema del genere? Come si fa a negare un così piccolo briciolo di impegno? Purtroppo il calcio è un cumulo di paranoie e assurdità. Mettici dentro il bel cammino che la Nazionale sta facendo all’Europeo, tre vittorie su tre, felicità ed entusiasmo alle stelle, e così nessuno vuol toccare nulla. Neanche concedere questo piccolo però evidentissimo gesto che comunque dice al mondo da che parte sta lo sport. Nulla di paragonabile a quanto fecero Smith e Carlos sul podio olimpico di Mexico ’68.

I diritti umani sono diritti di tutti, non esiste una classifica di importanza, di rispetto, una gerarchia. Il “Take a Knee” o gli stadi illuminati con l’arcobaleno sono manifestazioni compatibili e rispettose dell’evento. Non sono una manifestazione chiassosa, un corteo con tamburi e megafoni, è solo un gesto che richiama a un attimo di riflessione prima di eventi universali come le partite di calcio. In certi casi è doveroso prendere posizione, schierarsi, far sapere a tutti da che parte bisogna stare e dove bisogna andare. I nazionali italiani possono farlo benissimo, non costa loro assolutamente nulla, stiano tranquilli che tutto questo non disturberà la partita, non deve e non può esserci un nesso, saranno solo più apprezzati e stimati per il loro impegno. 

Per un attimo ho sognato addirittura che inginocchiandosi gli azzurri porgessero anche le mani in avanti congiungendo i polsi e sottolineando così anche la disumana detenzione cui è sottoposto in Egitto Patrick Zaki. Studente dell’Università di Bologna, attivista dei diritti umani, incarcerato da un anno e mezzo senza alcun processo. In un posto dove hanno anche la tortura e l’assassinio di Giulio Regeni sulla coscienza. Anche il diritto di uno solo conta. E sarebbe giusto ricordarlo al mondo, non lavarsene le mani.