Pensioni: cosa succederà col nuovo governo e chi lascerà il lavoro nel 2023

Mercoledì, 27 Luglio 2022 – today.it

L’esecutivo, qualsiasi esso sia, avrà tempi strettissimi per scrivere la legge di bilancio. In due mesi andrebbe fatta una riforma pensionistica che non si è riusciti nemmeno ad abbozzare in due anni di confronto? Difficile crederci. Spettro Fornero, ipotesi Quota 102 e Ape sociale “per tutti”. Destinato a non avere seguito il piano Tridico con uscite a 63 anni

In pensione con Quota 102 “per sempre”? Qualcuno ha anche fatto i conti. Ci sarebbe un “maggiore onere” valutabile in 4,3 punti percentuali di Pil. È questo l’impatto sui conti pensionistici che, cumulativamente, produrrebbe di qui al 2044 l’adozione in via strutturale di Quota 102. Il calcolo è della Ragioneria generale dello Stato e lo si ritrova nel rapporto 2022 sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario. Con questa soluzione il picco delle uscite salirebbe al 16,9% e sarebbe raggiunto nel 2042.

Pensioni: lo spettro del ritorno della Fornero

Con le dimissioni del governo Draghi e la chiusura anticipata della legislatura, una proroga di un anno della possibilità di uscita con 64 anni d’età e almeno 38 di contribuzione, attualmente prevista per il solo 2022, diventa una delle opzioni utilizzabili (forse la più semplice) per evitare che dal primo gennaio 2023 ci sia un ritorno secco alla legge Fornero in forma integrale e, allo stesso tempo, per non appesantire troppo la spesa per pensioni. Spesa che nel 2023 sarà già gravata da un conto vicino ai 24 miliardi legato soprattutto all’aumento dell’inflazione.

I tecnici della Ragioneria segnalano che il ricorso in via permanente a Quota 102 (adeguata biennalmente alla variazione della speranza di vita) produce un aumento significativo del rapporto spesa pensionistica-Pil nel primo ventennio del periodo di previsione. In particolare, negli anni 2022-2044, l’incidenza delle uscite in rapporto al Prodotto interno aumenterebbe, in media, di 0,25 punti percentuali. Quota 102 non sembra avere le carte in regola per diventare la base di una riforma organica delle pensioni (le adesioni sono state poche migliaia), ma potrebbe essere una soluzione d’emergenza per limitare l’impatto del ritorno della Fornero.

Il rebus pensioni è più complesso che mai. Mario Draghi puntava a una riforma delle pensioni che garantisse meccanismi di flessibilità in uscita ma con un impianto sostenibile ancorato al sistema contributivo. L’orizzonte era quello della legge di bilancio. Nonostante la complessa evoluzione del quadro economico, secondo Draghi la riforma doveva esser fatta entro l’anno, magari prevedendo anche il prolungamento di Opzione donna e Ape sociale. Il tavolo con le parti sociali era però bloccato da tempo. Per i sindacati, finita  l’esperienza di Quota 102, bisognava introdurre meccanismi di flessibilità in uscita prevedendo la possibilità di lasciare il lavoro a 62-63 anni oppure con 41 anni di contributi per tutti. Ovviamente senza prevedere penalizzazioni o ricalcoli. La crisi di governo ha azzoppato i timidi tentativi di far ripartire il dialogo. Ora la palla passa in mano ai partiti e soprattutto al prossimo governo. Le pensioni sono già al centro della campagna elettorale verso il voto del 25 settembre.

Pensioni e campagna elettorale

Silvio Berlusconi ha lanciato la promessa delle pensioni minime a mille euro, Fratelli d’Italia aveva fatto lo stesso tempo fa (il tutto sarebbe da finanziare con un taglio al reddito di cittadinanza). La Lega punta invece su Quota 41 (la possibilità di uscire con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica). Il Pd punta a confermare e rafforzare Ape sociale (un’indennità garantita dallo Stato a lavoratori in stato di difficoltà, che chiedono di andare in pensione al compimento dei 63 anni) e Opzione donna (possibilità per le lavoratrici di conseguire la pensione anticipata optando per il calcolo contributivo, dunque con un leggero taglio dell’assegno). Nel M5s piace la proposta del presidente Inps Tridico di andare in pensione a 63 anni col contributivo, a cui si aggiunte la parte retributiva a 67 anni. Il M5s propone anche di estendere il riscatto gratis della laurea (che però potrebbe costare 4-5 miliardi l’anno).

L’Inps ha già stimato nel dettaglio i possibili costi di tre opzioni ben definite sul tavolo. La prima è quella che poggia sul ricalcolo contributivo della pensione nel caso di uscite con 64 anni di età e almeno 35 anni di versamenti e avendo maturato un trattamento pari ad almeno 2,2 volte l’assegno sociale, che costerebbe quasi 900 milioni il primo anno (5,9 miliardo nel triennio 2023-25) per arrivare a oltre 3,7 miliardi nel 2029. La seconda ipotesi è quella della penalizzazione del 3% della parte retributiva dell’assegno per ogni anno di anticipo prima della soglia di vecchiaia sempre con un pensionamento in formato “64+35”: la maggiore spesa sarebbe di un miliardo nel 2023 (6,7 miliardi nel primo triennio) con un picco di oltre 5 miliardi nel 2029. La terza opzione è rappresentata dalla proposta-Tridico, che prevede l’anticipo alla maturazione di 63 anni d’età e 20 di contribuzione della quota contributiva dell’assegno (recuperando quella retributiva al raggiungimento del requisito di vecchiaia) per un costo di circa 500 milioni il primo anno (meno di 4 miliardi nel triennio) e di 2,5 miliardi nel 2029. Quest’ultima è l’ipotesi che sembra avere maggiori possibilità di “fare strada” in vista della manovra…

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