STORIA DI UN UOMO MAGRO

Un racconto di e con Paolo Floris
Liberamente tratto da “La ghianda è una ciliegia” e da “Il forno e la sirena” (edizioni Cuec
e Il Maestrale) di Giacomo Mameli

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La grande storia è fatta di tante piccole storie, storie di piccoli paesi e di piccoli uomini, resi grandi dalla sofferenza e dalla drammaticità degli eventi bellici.
STORIA DI UN UOMO MAGRO è la storia di uno di loro…magro e povero “che vive in un paese povero, con gente che vive in case povere, senza luce”.

Magro… ma non troppo magro per partire e “andare a fare la guerra”. Magro ma non così
magro per imbracciare un fucile e andare in Jugoslavia; una missione semplice, avevano
detto, che però si trasforma presto in un inferno: neve e gelo con le scarpe di cartone a
combattere una guerra persa in partenza.

L’armistizio dell’8 settembre sembra ridare speranza. E invece Vittorio, sempre più magro,
da soldato si trasforma in prigioniero di guerra. E dalla Jugoslavia viene portato in
Germania.

“Storia di un uomo magro” è la storia di un piccolo grande eroe italiano, sardo, magro, ma
non così magro da essere bruciato in un forno dai tedeschi. Questa è la storia di un uomo
magro che resterà “vivo per due chili”.
È una pagina di storia rimasta a lungo dimenticata nel dopoguerra, perché gran parte dei
sopravvissuti, nella disperata volontà di voler cancellare ogni ricordo, ha tenuto per sé tutte le sofferenze patite. Le peripezie di Vittorio Palmas “uomo magro” sono state raccolte dallo scrittore e giornalista Giacomo Mameli nei libri “La ghianda è una ciliegia” e “Il forno e la sirena “ da cui il giovane attore sardo Paolo Floris ha tratto il suo monologo,
dalla narrazione leggera nonostante il contenuto drammatico. Sempre solo in scena, Floris racconta la vita di Vittorio sfiorando lo stile fiabesco, “utilizzando” la sua testimonianza per raccontare la storia di tanti uomini comuni, che la violenza della loro esperienza ha trasformato in eroi. E come in qualsiasi favola che si rispetti, STORIA DI UN UOMO MAGRO ha un dolce lieto fine, che non toglie però drammaticità alla realtà che è stata vissuta dai nostri nonni.

La memoria rimane se viene raccontata, così ha fatto Vittorio Palmas, così ha fatto
Giacomo Mameli attraverso il suo libro e così ha fatto, tramite il palcoscenico, Paolo
Floris.

La forma dello spettacolo è quella del teatro di narrazione.

Il forno e la sirena. Due parole che hanno marcato l’apocalisse del Novecento raccontata
da due testimoni viventi. Il forno è quello nei campi di concentramento in Germania, in
Polonia, in Italia dove morivano ebrei e zingari, omosessuali e soldati. La sirena è quella
che doveva evitare la morte nelle città bombardate dal cielo e spingeva la gente a correre a
perdifiato verso i rifugi. Due sopravvissuti ricordano – col linguaggio dei senza voce – la
loro vita umile e quei giorni del 1943, a Bergen-Belsen o ad Auschwitz-Birkenau oltre le
Alpi, la distruzione e il calvario di morte nel 1943 a Cagliari e Monserrato a due passi da
casa. Il libro di Giacomo Mameli “Il forno e la sirena” è stato tradotto in francese col titolo
“Le four et la sirène” ed è stato scelto per un festival letterario al centro della settimana
italiana in Provenza.
L’opera di Floris – col sostegno della Fondazione di Sardegna e della Pro Loco di
Perdasdefogu – è stata rappresentata – soprattutto in occasione della Giornata della
memoria – in tante città e scuole italiane, all’università di Malaga ed è stata recensita da
vari programmi Rai, radiofonici e televisivi.

Il monologo di Floris dura un’ora.