Sui ghiacciai, l’avventura di Pertini e Allais

Dall’ebook “L’erede di Atlantide” il racconto di Andrea Mainardi “Sui ghiacciai”, ispirato alla vera storia del rientro in Italia del futuro Presidente della Repubblica italiana, Sandro Pertini, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale in compagnia di Allais, che poi divenne campione di sci.

Un racconto di di Andrea Mainardi

Il Tenente era stato onesto: non sarebbe stato facile giungere sull’altro versante. Però non avevo immaginato che mi sarei subito ridotto a fare la figura dell’idiota. Quelle maledette racchette. I francesi camminavano sulla neve con quei dannati aggeggi, leggeri come piume. Io non ero nemmeno riuscito a fare il primo passo che nella neve mi ci ero trovato piantato fino alla cintura… a testa in giù.

A questo pensavo, in quella baracca a 3500 metri di quota, asciugando membra e abiti di fronte al fuoco, quando il tenente entrò dalla porta.

“Si parte tra un’ora,” disse “sarete sette uomini più la guida. Farete due cordate”.

Io lo fissai un attimo. Guardai la sua pelle scottata, la tuta bianca e il fucile d’assalto appeso alla tracolla. Ero ammirato da quegli uomini che lottavano in condizioni tanto aspre.

“Se per lei va bene” aggiunse, preoccupato dal mio silenzio.

Mi affrettai ad annuire; per me andava benissimo. Avevo una gran voglia di proseguire il viaggio e di togliere il disturbo.

maquisards si erano dimostrati una volta di più dei compagni capaci e affidabili, e proprio per questo intendevo quanto prima sollevarli dall’onere della mia presenza. In più, se volevo raggiungere il Comitato di Liberazione a Milano prima della fine della guerra, non avevo scelta.

Guardai un’ultima volta il documento falso, che sotto la mia fotografia portava il nome di Nicola Durano, e lo avvolsi in un pezzetto di tela cerata ficcandolo per bene all’interno del giaccone pesante.

La giornata era limpida. Si strizzavano le palpebre per smorzare il baluginio del sole, che si specchiava sul manto nevoso. Le due cordate avevano lasciato il Col du Midi e si arrampicavano con fatica sul fianco ripido e insidioso del Mont Blanc du Tacul. Oltre alla guida eravamo cinque italiani e due francesi; ciascuno con il suo buon motivo per passare il confine in quel modo così avventuroso.

Giravamo attorno alla cima della montagna per raggiungere il rifugio a quota 4000. Poi la Val d’Aosta, finalmente l’Italia.

La guida si chiamava Leger. Il Tenente la pagò in sterline d’oro: metà subito e metà al suo rientro. Sarei stato io, una volta giunti a destinazione, che avrei comunicato la parola d’ordine da riportare all’ufficiale. Questo avrebbe consentito alla guida di ritirare il resto del compenso; a me sembrava una garanzia sufficiente circa la sua affidabilità.

Leger ci conduceva tra seracchi e guglie granitiche, lungo il fianco di crepacci che sprofondavano centinaia di metri sotto la crosta del ghiacciaio. I miei polmoni si abituavano lentamente all’altitudine. Con una trentina di chili di zaino sulle spalle, la mia concentrazione era tutta nel respirare e nel mettere un piede davanti all’altro. Gli altri uomini perlopiù facevano lo stesso.

Echeggiavano solo le secche direttive impartite da Leger e il salmodiare lamentoso di un telegrafista napoletano che di tanto in tanto bestemmiava contro il freddo invocando “o sole ‘e Posillipo”.

Scavalcammo la spalla del Tacul dove questo confluisce nella Mer de Glace, l’enorme mare gelato che d’improvviso ci apparve di fronte e che scendeva largo e placido dal Monte Bianco fino sotto ai nostri piedi.

Rimasi a prendere fiato di fronte a quella visione di pace e tranquillità, stridente con la mia missione come il ghiaccio vivo che mi scricchiolava sotto gli scarponi.

Il Rifugio Torino era un rudere. Poche settimane prima i tedeschi di Courmayeur erano saliti fin qui e lo avevano preso d’assalto. Lo scontro che ne era seguito aveva lasciato distruzione e caduti da ambo le parti. Ma si era trattato di un fuoco di paglia: ormai Hitler era stato cacciato dalla Francia e non ci avrebbe mai più rimesso piede.

Io avevo dormito nudo, arrotolato nel sacco a pelo, con i vestiti nuovamente ad asciugare davanti al fuoco. All’alba comunicai la parola d’ordine a Leger: “Londra. È questa la parola che devi riportare al Tenente” gli dissi. E da parte mia lo ringraziai per averci fatti arrivare vivi.

La guida era appena uscita da quella stanza di pietra col soffitto mezzo crollato, quando mi presentarono il mio nuovo accompagnatore. Era un giovane francese dal fisico atletico. Si tolse il berretto di lana e appoggiò alla parete un lungo paio di sci, poi si levò i guanti e mi porse la mano con un sorriso cordiale. “Mi chiamo Emile. La porterò oltre il confine, lì incontrerà i partigiani aostani” disse in un buon italiano.

Abbronzato, coi capelli lunghi, era il ritratto della salute. “Pensa che dovremo marciare con quelle racchette da neve legate ai piedi?” gli chiesi preoccupato.

Pas de raquette, andremo con quelli” e indicò i suoi sci.

“Ma io non so sciare!” dissi, sentendomi di colpo caduto dalla padella direttamente sulla brace.

Emile si mise a ridere. “Con me non serve saper sciare, monsieur”.

Di fuori ci aspettava un nuovo mattino abbacinante di sole e di ghiaccio. Emile era chinato ad assicurare gli attacchi agli scarponi. Due uomini ci assistevano nella preparazione.

“Sei sicuro di quello che stiamo facendo?” chiesi senza convinzione, mentre guardavo una pattuglia scendere dal crinale verso il rifugio. Si potevano vedere le serpentine che gli sci tracciavano sulla pista e gli sbuffi di neve delle virate improvvise.

Ripetei la domanda ma non mi rispose. Si alzò in piedi invece, e mi indicò le sue spalle. Io guardai ancora una volta il mio zaino e lo soppesai.

“Si deve fidare. Se lo metta, e andiamo”.

Indossai il fardello, mi avvicinai a lui e dopo un’ultima esitazione gli montai in spalla aiutato da uno dei due uomini. L’altro mi faceva girare una fune attorno alle gambe in modo da fissarle alla vita dello sciatore.

“Si stringa forte a me e cerchi di assecondare i movimenti del mio corpo, capito? È un po’ come andare in motocicletta, ha presente?” Non mi diede il tempo di rispondere. Fletté le braccia caricando il peso sui bastoncini e si diede una gran spinta.

Un attimo dopo, Emile Allais, futuro campione olimpionico di sci, iniziò a scendere verso l’Italia. Sulle spalle, sotto il falso nome di Nicola Durano, trasportava il rappresentante socialista del Comitato di Liberazione Nazionale, il futuro Presidente della Repubblica italiana, Sandro Pertini.